L’uomo
Mentre tutte le altre forme di vita presenti sul pianeta si adattano e si
armonizzano all’ambiente circostante, l’essere umano lo modifica in
base a propri desideri ed obiettivi detenendo in sé un immenso potere,
quello della creazione, ossia ciò che le religioni attribuiscono a Dio.
A volte forse ci dimentichiamo di essere nati su un pianeta costituito
soltanto di roccia, terra, acqua e alberi. Il fatto che l’Umanità,
partendo dalla vita nelle caverne, sia riuscita a creare motori, computer,
grattacieli, aeroplani, internet, a ben pensarci, risulta miracoloso.
L’ equilibrio
L’era in cui viviamo è definita “antropocene” e ha avuto inizio nel XIV
secolo. Con questo termine si indica il periodo storico nel quale l’uomo
ha cominciato attraverso la tecnologia e lo sviluppo industriale, a
modificare in maniera importante gli equilibri naturali del pianeta.
La grandezza della moderna civilizzazione presenta ovviamente un “lato
oscuro della forza”, com’è inevitabile che sia in una realtà che si regge
sulla legge della dualità. A quanto pare infatti, stiamo consumando le risorse della natura molto
più velocemente di quanto essa impieghi nel rigenerarle.
Non c’è nessun pianeta da salvare: la Terra vive da qualche miliardo di anni e continuerà a farlo per un bel pezzo, con o senza umanità. Siamo soltanto noi a doverci preoccupare di quanto le
risorse della Terra possano soddisfare i bisogni di miliardi di esseri
umani, nel corso degli anni a venire.
Non mi preoccupo tanto del fatto che il petrolio e le risorse minerarie
finiscano perché, a quanto pare, finora l’uomo è sempre stato in grado, attraverso nuove tecnologie, di trovarle e di estrarle comunque, anche da luoghi e da profondità dove un tempo non sarebbe stato possibile
farlo. La domanda che mi pongo invece è: “Siamo davvero sicuri che ne
valga la pena?”.
A che scopo investire così tanta energia per scavare e trivellare in
situazioni estreme, se questo significa pregiudicare la vivibilità della
nostra Terra?
Se consideriamo il pianeta come un unico essere vivente, come
possiamo meravigliarci che questi decida di considerarci come un
fastidioso virus di cui sbarazzarsi quanto prima possibile? Forse ci
siamo dimenticati che la Terra, nel suo complesso, è assai più potente
dell’uomo, essa non ha bisogno di noi. Invece noi di lei, sì.
Non sarebbe quindi meglio concentrare gli sforzi su qualcosa che ci
consenta di produrre tutto ciò di cui abbiamo bisogno preservando
l’equilibrio dell’atmosfera?
Terra, Cielo, Acqua
La vita sulla superficie terrestre esiste grazie all’equilibrio tra la massa
del pianeta e l’atmosfera che lo circonda. Da un paio di secoli abbiamo
cominciato ad utilizzare in maniera massiva la
materia che la Terra ha deciso di allocare nelle sue profondità: carbone,
petrolio, gas, minerali, metalli. Con il passare degli anni abbiamo
scavato, perforato e trivellato sempre più, asportando dal sottosuolo
una quantità sempre crescente di materia; la portiamo in superficie per
bruciarla ad alte temperature, disperdendo nell’atmosfera milioni di
tonnellate di ciò che il pianeta aveva previsto dovesse stare nel
sottosuolo.
Ciò ha creato un disequilibrio.
Anche se lo abbiamo sempre chiamato “Terra”, per il 70% il nostro
pianeta è composto di acqua, guarda caso, esattamente come un corpo
umano. A quanto pare i mari e i fiumi non godono di buona salute:
mantenendo l’attuale tendenza, secondo un report del World Economic
Forum, nel 2050 il peso complessivo della plastica nei nostri mari supererà quello dei pesci e l’ambiente non sarà più vivibile. Sarà vero?
Non lo so, ma il solo pensarlo mette i brividi.
Intanto, mentre compromettiamo i fiumi ed i mari del nostro pianeta, si
compiono grandi sforzi per cercare l’acqua su Marte. Tutto questo mi è
sempre sembrato alquanto strano. Mi verrebbe da domandare: “Scusa
tanto, ma se in casa tua c’è un principio di incendio, tu cosa fai? Cerchi
di spegnere il fuoco, o lasci bruciare ed esci a comprarti una roulotte?”.
Dunque, se la nostra esistenza è basata su acqua, terra e aria, come si
può mettere qualcosa davanti a questo? Cosa ci può essere di più
importante?
Materiali sostenibili: il business di questo secolo
Di queste faccende ne cominciarono a parlare, qualche decennio fa, i
cosiddetti “ambientalisti”, poi arrivarono gli scienziati e qualche
giornalista, per giungere ad oggi, dove quello della sostenibilità è
diventato il tema principale sui tavoli di governo di tutto il mondo.
Il consumo di materiali è previsto in incremento del 2,8% annuo per i
prossimi 25 anni, e sempre di più si dovrà trattare con prodotti naturali,
ecologici e rinnovabili. (2).
Ma non vi è alcun bisogno di rinunciare a nulla di ciò che fino ad oggi
abbiamo realizzato per rendere la nostra vita migliore, non serve alcuna
“decrescita felice”: abbiamo risorse e tecnologie in abbondanza.
Si tratta semplicemente di utilizzare materiali il cui assorbimento di CO2
risulti superiore al valore che viene generato nel processo produttivo.
Per questo sono molte le ragioni che ci inducono a pensare che la
produzione di materia prima sostenibile sia, con ogni probabilità, il più
grande business dei prossimi decenni.
Trovandoci nella necessità di dover ridurre l’uso di materie prime fossili,
il legno, per consistenza e disponibilità, rappresenta la principale risorsa
a nostra disposizione. Esso presenta immediatamente un grande
vantaggio: non dobbiamo più scavare, perforare o trivellare.
Partendo dal sottosuolo, il legno arriva fino a noi, dalla superficie, in maniera
autonoma.
Basterebbe soltanto questo per comprendere quanto l’uso di questo
materiale rispetti un equilibrio che la natura ha previsto.
Il legno degli alberi, tuttavia, non può rappresentare da solo la
soluzione, innanzitutto a causa dei suoi lunghi tempi di produzione.
Quando si taglia un pino, serviranno trent’anni per averne un altro,
ottanta addirittura per una quercia. Inoltre, si aggiunga il fatto che vi è
una crescente e diffusa necessità di preservare gli alberi contenendo il
fenomeno della deforestazione.
Ogni anno perdiamo 13 milioni di ettari di foresta. Continuando di
questo passo, entro il 2050 ne scompariranno oltre 230 milioni di ettari:
un’area più grande delle intere aree forestali di Perù, Repubblica
Democratica del Congo e Papua Nuova Guinea messe insieme. (3)
Ci troviamo quindi di fronte a due esigenze tra loro in conflitto: da un
lato ci occorre abbondante materia prima sostenibile da destinare alla
conversione delle produzioni industriali, dall’altro dobbiamo tutelare gli
alberi. Come faremo dunque?
La soluzione è il bambù.