I pionieri
Credo di essere un pioniere di natura. Amo le cose nuove e sono attratto dal contribuire a creare ciò che ancora non esiste. Questo principalmente per due motivi: l’emozione che mi dà l’idea di essere un apripista e le maggiori possibilità di crescita presenti in mercati che sono ancora vergini.
Il lavoro dei pionieri consiste nel fare qualcosa che non è mai stato fatto prima, investendo tempo, talenti, risorse rischiando di perdere tutto. Non tutti sono disposti a farlo e non tutti si trovano nelle condizioni di poterlo fare.
I primi produttori italiani di piante madri disponevano di un know-how di base acquisito dalla Cina, sufficiente a comprendere che in Italia vi sono le condizioni climatiche per far prosperare la pianta, ma lacunoso dal punto di vista della tecnica agronomica. Un conto è far sopravvivere una pianta, ma il creare una coltivazione professionale ottimizzando la gestione e ricercando sempre le migliori performance di produttività è tutt’altra cosa. E questo, i pionieri che per primi ci avevano investito, lo hanno imparato a proprie spese.
Gli errori commessi nei primi anni hanno riguardato ogni aspetto. Per citarne qualcuno: tempi e tecniche di piantumazione, mancate analisi preventive del terreno, mancanza di conoscenza delle giuste lavorazioni e delle corrette modalità di irrigazione. Per queste ragioni, soltanto una parte dei primi impianti di coltivazione si sono sviluppati correttamente, altri meno, altri ancora per niente.
In questi primissimi anni di coltivazione è accaduto anche che qualcuno raccontasse che non serviva irrigare le piante, che potevano essere messe a terra in qualsiasi periodo dell’anno, che non vi fosse la necessità di fare analisi preventive al terreno, perché “tanto cresce dappertutto”.
Di conseguenza, non sono risultate corrette nemmeno alcune informazioni diffuse sui i tempi di produzione e sulla conduzione dell’impianto. Qualcuno ha creduto che le piante potessero crescere da sole, senza necessitare di cure specifiche e di un adeguato nutrimento.
Così, in alcuni impianti, le piante sono state messe a terra e poi abbandonate a loro stesse; per questo è accaduto che, dove avrebbe dovuto oggi esserci un bosco, ora si trova un deserto.
Risulta chiaro quindi come una cattiva informazione non solo non abbia giovato allo sviluppo del mercato del bambù in Italia, ma lo abbia minato e messo in cattiva luce, fin dai suoi esordi.
La basi per la coltivazione ad uso industriale
Le esperienze pionieristiche sono servite a comprendere i corretti bisogni agronomici della pianta, a riconoscere le regole di semina e coltivazione, l’idoneità e preparazione del terreno, le procedure per la corretta gestione della pianta al fine di ottenere abbondanza di produzione. Dopo i primi cinque anni di sperimentazione abbiamo ritenuto opportuno definire un metodo disciplinare che ha lo scopo di definire i valori e le procedure che ci permettono di garantire il buon risultato di un impianto.
Terreno
Alla base di questo metodo c’è uno studio di fattibilità che riguarda principalmente il terreno. Esso viene analizzato nella sua morfologia, dal punto di vista fisico e valutando gli antagonismi chimici ed energetici dei principali elementi, che possono limitare il potenziale alimentare del suolo. Così come per la costruzione di un grande edificio è necessario focalizzarsi sulla bontà delle fondamenta, per la creazione di una foresta di bambù gigante altamente performante, bisogna creare nel terreno delle condizioni che permettano alla pianta madre di essere accolta e nutrita nel migliore dei modi.
Non è quindi propriamente vero che, pur trattandosi di una graminacea molto rustica, tutti i terreni possono essere considerati idonei; forse possono andar bene per farla sopravvivere, ma per portare un ettaro nelle condizioni di produrre centinaia di tonnellate di materia prima, anno dopo anno, bisogna creare nel suolo un perfetto bilanciamento tra tutti gli elementi di cui la foresta necessita per realizzare il suo massimo sviluppo.
In linea teorica, qualsiasi suolo potrebbe essere portato nelle giuste condizioni per accogliere l’impianto, ma è meglio valutare prima se ne valga davvero la pena. Mi sono imbattuto infatti in terreni che, nel corso degli anni, spesso a causa di un reiterato abuso di prodotti chimici, si sono notevolmente impoveriti di vita organica e di tutti quegli elementi utili alla pianta per svilupparsi pienamente. In questi casi, si tratta dunque di quantificare quanto lavoro e quanto denaro siano necessari per riportare il terreno ad un livello di idoneità.
La superficie destinata all’impianto dovrà essere delimitata da barriere o da fossi perimetrali profondi almeno 70 cm, per prevenire il propagarsi dei rizomi nei terreni circostanti.
Irrigazione
L’irrigazione, soprattutto nei primi anni, è una pratica assolutamente fondamentale, e viene realizzata prevalentemente attraverso gocciolatoi posti sui filari dove vengono collocate le piante madri.
Durante i primi anni di coltivazione in Italia, qualcuno diceva che l’acqua non fosse poi così fondamentale. Di contro i più, affermavano che invece il bambù necessitava di moltissima acqua forse confondendolo con l’Arundo Donax, una pianta che cresce frequentemente lungo i laghetti e ai bordi dei canali.
Come spesso accade, tra due teorie in opposizione la verità sta nel mezzo e presenta sfaccettature e distinguo da considerare.
Ci sono fasi nelle quali la pianta ha bisogno di più acqua e fasi in cui ne serve meno, ci sono terreni che la trattengono e terreni che la drenano con facilità. Mi è capitato spesso di imbattermi in impianti che si trovavano in pessime condizioni per la scarsità d’acqua, ed altrettanto spesso in altri che ne hanno invece sofferto l’eccesso. Non è possibile generalizzare occorrono, ogni volta, valutazioni specifiche.
Conduzione
Un neonato, si sa, ha bisogno di continua assistenza. Un bambino un po’ meno, perché ha cominciato a sviluppare una certa autonomia, che pian piano crescerà con il passare degli anni, fino a renderlo un adulto indipendente. Allo stesso modo, possiamo raccontare il percorso di vita di una coltivazione di bambù. Va assistito con estrema cura nei primi mesi e con costante attenzione nei primi anni, ma arriverà il momento in cui l’impianto diventerà indipendente, trasformandosi in una foresta che ogni anno produrrà decine di tonnellate di materiale per ogni ettaro piantato.
I rizomi striscianti delle piante madri, con il trascorrere del tempo, si intrecceranno tra loro, creando una rete che unisce le piante l’una all’altra. È come se il bosco diventasse, a un certo punto, un unico essere vivente, in grado di regolarsi e di bilanciarsi per provvedere a sé stesso, in autonomia ed equilibrio.
Colonizzando il suolo in maniera dominante, tutte le altre erbe infestanti, che, nei primi anni potrebbero essere nocive, in breve tempo sono destinate a scomparire.
Trattandosi di una pianta sempreverde, le foglie che ciclicamente cadono a terra creano una pacciamatura naturale che mantiene il terreno al giusto livello di umidità, riducendo notevolmente le necessità di irrigazione. Infine, in base al tipo di produzione che si sceglierà (germoglio, grandi culmi o trinciato) saranno applicate le opportune tecniche di diradamento, necessarie a favorirne lo sviluppo.